Fuscello teso dal muro

Una bellissima poesia di 
Eugenio Montale 


La mia personale 
guida alla lettura

Ho intravisto un ramoscello sporgere da un muro, 
teso come l’indice d’una meridiana 
che scandisce la "carriera" del sole, e la mia breve carriera, 
il tempo del cosmo e il mio tempo breve. 
(E così, ragionando tra me e me, mi son messo a parlare con lui:)

Tu additi i crepuscoli, 
fissando la tua ombra sull'intonaco del muro, 
che la luce imbeve di riflessi luminosi. 
E la ruota del tempo, 
sempre uguale, monotono, 
che disegni sul piano del muro, 
mette una tristezza infinita. 
Anche la volta celeste,  a poco a poco, 
calando sulle cose, all'imbrunire,  
rende fumosa la tua sembianza, 
ti fa smarrire il senso delle cose, 
ed è infinitamente noiosa: 
torna ogni notte a segnare, anche col buio, il tempo che passa, 
mentre l'infittita sua cupola, le stelle, mai si dissolvono, sempre domandano il domani.

(Un imprevisto mi risveglia, al risveglio)
Tu non adombri più, stamani, il tuo sostegno, 
non fai più ombra sul muro, non segni più il tempo:
nella notte un velo, strappato chissà a chi e chissà come, 
si è impigliato su di te, 
ed ora pende dalla tua cima 
e  ai primi raggi del sole è Lui che risplende, 
non più la tua ombra, non più il tempo. 
Passata è la noia, riprendono vita le cose,
è bastato quel velo a nascondere e a svelare, 
a spostare lo sguardo, laggiù, sulla piana del mare:
un veliero a tre alberi, 
con la sua ciurma e il bottino (la pescagione?) 
si lascia spingere da un alito di vento, e scivola via. 
È la vita! 
Chi dall'alto può vederlo, s’avvede che la tolda brilla di luce, 
e che il timone non lascia alcuna traccia sul mare. 

(Sembra un paesaggio di fantasia, quasi un miraggio. 
È un'immagine  velata e svelata, come tutto della vita: mentre essa va avanti, il cuore grida il suo anelito che, come le stelle, mai si dissolve). 


La poesia

Fuscello teso dal muro
sì come l’indice d’una
meridiana che scande la carriera
del sole e la mia, breve;
in una additi i crepuscoli
e alleghi sul tonaco
che imbeve la luce d’accesi
riflessi – e t’attedia la ruota
che in ombra sul piano dispieghi,
t’è noja infinita la volta
che stacca da te una smarrita
sembianza come di fumo
e grava con l’infittita
sua cupola mai dissolta.

Ma tu non adombri stamane
più il tuo sostegno ed un velo
che nella notte hai strappato
a un’orda invisibile pende
dalla tua cima e risplende
ai primi raggi. Laggiù,
dove la piana si scopre
del mare, un trealberi carico
di ciurma e di preda reclina
il bordo a uno spiro, e via scivola.
Chi è in alto e s’affaccia s’avvede
che brilla la tolda e il timone
nell’acqua non scava una traccia.


Eugenio Montale
Ossi di Seppia